“LA PARTITA A SCACCHI COME METAFORA DELLA VITA”

DA DOVE VENIAMO?

CHI SIAMO?

DOVE ANDIAMO?

Da sempre nel corso dei secoli l’uomo è alla continua ricerca di se stesso e si è sempre posto tre grandi quesiti che non hanno mai avuto una vera risposta.

Queste domande sono l’espressione di un bisogno innato dell’essere umano di trovare un senso, un significato alla propria esistenza. Come possiamo infatti pensare di poter dare una direzione alla nostra vita, decidere come vorremmo impiegarla, se non sappiamo cos’è, se non ne capiamo il senso profondo?

Siamo tutti accomunati dal desiderio-bisogno di trovare un significato alla nostra vita. Siamo pieni di sogni, ansie, paure, in un mondo caotico, dove tutto scorre molto velocemente e l’unico modo che abbiamo per dare un vero significato alla nostra esistenza è fare ciò che davvero ci piace. 

Vi siete mai chiesti: “Cosa c’è veramente dietro ai miei bisogni? Quali sono le mie motivazioni e i miei sogni?”

L’equilibrio tra lavoro e vita è fondamentale, eppure non tutti si possono permettere il lusso di fare ciò che amano. A volte le responsabilità familiari o quelle lavorative limitano la possibilità di dedicarsi ad attività che ci fanno stare bene, e ciò ci induce a sacrificare le nostre passioni.

C’è poi chi ha il coraggio e la fortuna di trasformare una passione in un lavoro e c’è chi preferisce garantirsi una stabilità economica, rinunciando alle proprie aspirazioni.

Trovare un senso alla propria esistenza è inoltre un importante fattore di protezione nel campo dei disturbi psicologici. Molti artisti hanno  compensato i propri squilibri e le proprie fragilità psichiche con una straordinaria realizzazione personale, che ha dato un senso alla loro esistenza consentendogli di non sprofondare nella follia.

Si tratta di scegliere cosa è buono per noi.

Qualunque sia la vostra SCELTA, occorre comunque dare un senso, un significato, un valore alla VOSTRA vita.

Avete mai visto il film di Bermann Ingmar “Settimo sigillo”?

Il film si apre con un’immagine che è rimasta nella storia del cinema: una partita a scacchi tra il cavaliere che torna dalle crociate e la morte.

Il cavaliere sfiduciato incontra la morte e la morte gli preannuncia che “è arrivata la sua ora”. Ma lui è un bravo giocatore e vuole mettere in difficoltà la morte con una partita a scacchi.

Così la morte accetta la sfida e gli concede ancora del TEMPO, con uno scopo: trovare un SENSO, trovare una ragione per cui la  vita debba essere vissuta.

Se volessimo allargare la metafora della partita a scacchi nella nostra vita, ecco che quello che noi possiamo avere rispetto alla morte, non è la vittoria (non vinceremo mai di fronte alla morte!) ma possiamo avere, rispetto alla morte, del tempo nel quale giocare la nostra partita.

In questo tempo è importante dunque trovare un senso alla nostra esistenza: dare significato alla propria vita, giocare la partita fino in fondo, fino all’ultimo minuto.

VOI STATE GIOCANDO BENE LA VOSTRA PARTITA?

Francesca Tripari, Psicologa

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Mindful Eating: Ri-connettersi con il proprio corpo

Il nostro comportamento alimentare è influenzato dalle emozioni che quotidianamente proviamo: lo stress, la tristezza, l’ansia possono aumentare l’appetito e portare a ricercare maggiormente cibi ricchi di grassi e dolci, stimolando la cosiddetta “Fame nervosa“.

La Fame nervosa, chiamata anche “Emotional Eating” è un disturbo caratterizzato da frequenti e intense abbuffate, con conseguente incapacità di distinguere la fame da altri stati interni.

Secondo una recente ricerca il 50-60% della popolazione manifesta un comportamento alimentare disfunzionale e utilizza il cibo per “mettere a tacere” le proprie emozioni.

Chi soffre di fame nervosa soffre di dis-regolazione emotiva: non riconosce le emozioni, le confonde con la fame e, di conseguenza, mangia in maniera smodata, non tollerando le emozioni negative e sviluppando credenze molto rigide (i cosiddetti pensieri “Tutto o nulla”), accompagnati da ruminazione o soppressione del pensiero (“Non devo pensare al cioccolato”). Di conseguenza, si osserva un tipico circolo vizioso caratterizzato da restrizione cognitiva e comportamentale rispetto al cibo con conseguente sovra-alimentazione e nuova restrizione (il cosiddetto “Effetto paradosso della restrizione alimentare”).

Esiste un modo efficace per rivoluzionare il proprio rapporto col cibo: la Mindful Eating, attraverso il protocollo MB-EAT.

Il protocollo MB-EAT( Mindfulness Based Eating Awareness Training, “Training di  consapevolezza alimentare basato sulla Mindfulness”) si è dimostrato essere in grado di modificare questo funzionamento neurofisiologico attraverso la neurogenesi, ripristinando e rinforzando, anche a lungo termine, la capacità di osservare, riconoscere e gestire le proprie emozioni, senza ricorrere al cibo, destrutturando comportamenti disfunzionali, come le pulsioni alimentari, al fine di costruire con esso un rapporto funzionale.

Obiettivi:

  • Vivere con serenità il momento del pasto
  • Recuperare l’uso dei 5 sensi per assaporare il cibo e riconoscere gli alimenti di cui il nostro corpo ha bisogno
  • Riconoscere i propri comportamenti automatici in relazione al cibo
  • Distinguere le emozioni dagli stimoli di fame e sazietà
  • Diventare consapevoli delle emozioni e dei pensieri che anticipano e accompagnano il pasto.

 

Durante il programma, attraverso esercizi di alimentazione consapevole, semplici pratiche meditative, esercizi di movimento gentile e la condivisione di informazioni utili, creeremo insieme un percorso che vi aiuterà ad imparare un modo sano per prendervi cura di voi stessi.

Benefici: imparerete a coltivare la presenza mentale a tavola.

Destinatari: tutti coloro che hanno intenzione di dedicarsi del tempo.

Organizzazione del corso:

Durata:

Pacchetto Basic= 4 incontri a cadenza settimanale

Pacchetto Intensive= 3 incontri a cadenza settimanale.

Dove? 

Presso il Centro Emmea, in Via Carlo Pisacane, 6 a San Vittore Olona.

Quando: le date sono da definirsi con il paziente.

 

PER INFO E PRENOTAZIONI CHIAMA IL NUMERO: 349 5328087 

SCARICA IL VOLANTINO, CLICCA QUI:https://www.centroemmea.it/wp-content/uploads/2021/04/VOLANTINO-MINDFUL-EATING.png

 

 

Francesca Tripari, Psicologa

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“SE LO STRESS E LA PAURA FOSSERO NOSTRI AMICI?”

Nel corso della storia, senza la paura la specie umana probabilmente si sarebbe estinta, sopraffatta dal pericolo. L’uomo delle caverne è sopravvissuto ai vari pericoli, sia per la maggiore intelligenza rispetto agli animali che lo circondavano, sia perché la paura ha guidato in maniera strategica i suoi comportamenti, suggerendogli di volta in volta la tattica migliore.

Oggi, per nostra fortuna, non siamo più circondati da bestie feroci e attraverso la nostra intelligenza abbiamo costruito situazioni che, realmente o apparentemente, ci proteggono e rassicurano. Le nostre case, la creazioni di ospedali, l’utilizzo delle medicine, l’eliminazione degli ambienti ritenuti pericolosi sono alcuni esempi di come, nel corso del tempo, abbiamo lavorato per la nostra salvaguardia e per ridurre le nostre ansie e paure.

Ma tutte queste consistenti trasformazioni nella nostra quotidianità hanno davvero eliminato i pericoli e di conseguenza diminuito i nostri livelli di stress?

Paradossalmente no!

In un’emergenza come quella che stiamo vivendo a seguito della pandemia da COVID-19, l’incertezza di una situazione in continua evoluzione, la paura del contagio e la necessità di proseguire una condizione di isolamento sociale hanno comportato inevitabili ELEVATI LIVELLI DI STRESS.

Vi è capitato nell’ultimo anno di percepire sensazioni di rassegnazione, perdita di controllo, senso di apatia, per cui non sapevate più cosa vi mancava, perché non riuscivate più a sentire nulla?

Lo stress può essere definito come la somma delle reazioni messe in atto dall’organismo di fronte a qualunque stimolo negativo, fisico, mentale o emozionale che tenda a perturbarne l’equilibrio. Quando tale risposta è inadeguata si può giungere alla malattia. In realtà lo stress è necessario alla vita e ha un significato positivo quando rimane sotto controllo: si tratta del cosiddetto eustress (dal greco, “stress positivo”). Questo tipo di stress riguarda fenomeni di breve durata, in grado di rilasciare la giusta dose di adrenalina che ci permette di sentirci particolarmente forti ed in grado di affrontare le sfide. Tuttavia, quando si supera le possibilità di adattamento dell’organismo, lo stress provoca conseguenze negative con manifestazioni organiche e croniche: è il cosiddetto distress (dal greco, “stress negativo”).

Secondo recenti ricerche, i livelli di stress delle persone di oggi, confrontati con quelli di vent’anni fa, sono aumentati notevolmente. Con l’era digitale abbiamo introdotto fonti di stress nuove nella nostra vita: il cosiddetto stress dell’Information processing e lo Stress della velocità con cui fa viaggiare le cose.  Questi due fenomeni hanno contribuito a rendere sempre più sfumata la distinzione fra la vita lavorativa e quella domestica, fra la settimana lavorativa e il weekend, fra il giorno lavorativo e la notte. Se da un lato troviamo adolescenti sempre connessi, che trascorrono ore e ore giocando senza limiti di tempo, dall’altro lato troviamo adulti che leggono e inviano e- mail in qualsiasi momento della giornata e che privilegiano le chat come valido scambio di interazione con l’esterno. Il risultato è che il bene più prezioso che abbiamo, IL TEMPO, è dedicato al solo fare e non più all’essere finendo per diventare sempre più isolati, non solo rispetto agli altri ma anche rispetto a noi stessi (J. Kabat‐Zinn, 1989).

Questo modo di affrontare le situazioni ci sta portando a reagire in maniera inconsapevole agli stimoli e agli eventi, come se fossimo guidati da un “Pilota automatico”. Il “Pilota automatico” è uno stato cognitivo in cui si agisce senza essere consapevoli di quello che si sta facendo.

Facciamo qualche esempio: “Vi è capitato di non ricordare che strada avevate percorso per andare al lavoro? Vi è successo di tornare a casa e di chiedervi: Ho chiuso la macchina?”

Con il “Pilota automatico” inserito è più probabile “incastrarci” in situazioni che ci fanno reagire senza prima pensare. Gli eventi che ci circondano, i pensieri, le emozioni e le sensazioni (di cui siamo solo in parte consapevoli) possono scatenare le vecchie abitudini di pensiero con un conseguente peggioramento dell’ umore. Il “Pilota automatico” costa poco sforzo, però non permette di rispondere in maniera adeguata alle situazioni( per questo definito “automatico”).

Come liberarci del nostro “Pilota automatico” per essere più presenti nella nostra vita?

Attraverso la Mindfulness.

La Mindfulness è una tecnica che ci aiuta a portare deliberatamente la nostra attenzione a quello che stiamo facendo mentre lo stiamo facendo. Questa competenza arricchisce la nostra esperienza permettendoci di vivere una vita piena, affrontando ciò che accade nel momento presente e trovando le giuste strategie per far fronte alle difficoltà del momento. Diventare più consapevoli dei nostri pensieri, emozioni e sensazioni fisiche, evitando di scivolare nelle solite vecchie “abitudini mentali” che possono averci causato problemi nel passato.

Le tecniche di Mindfulness sono guidate da una corretta respirazione che privilegia la fase espiratoria. Goethe sosteneva che: “Nel respirare ci sono due doni, il tirar dentro l’aria e il liberarsene. Il primo opprime, il secondo libera: tanto spudoratamente varia è la vita”.

Proviamo a fare un piccolo esercizio. Chiudete gli occhi e per qualche istante provate ad ascoltare il vostro respiro. Successivamente rispondete alle seguenti domande:

“Dov’ è la vostra mente in questo momento? Si è agganciata ad un pensiero/ rimuginio o ad un’anticipazione futura? Che storia vi sta raccontando? Che tono sta utilizzando?”

Con un po’ di allenamento impareremo a sviluppare la capacità di osservazione e distanziamento dai nostri stati mentali, sensoriali ed emotivi, aumentando così la nostra consapevolezza e la nostra capacità di gestione delle emozioni, senza lasciarci trascinare dal vagabondaggio mentale.

 

Francesca Tripari, Psicologa

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IL CRITICO INTERIORE: UN PICCOLO SABOTATORE DENTRO DI NOI

Ti è mai capitato di aver conosciuto una persona splendida, gentile, affascinante, con cui avresti voluto iniziare una bellissima relazione e di aver sentito una vocina dentro di te che però diceva: “Davvero pensavi di interessargli? Non sei all’altezza di un uomo di quel livello! Di sicuro guadagnerà almeno il doppio di te! Non ti illudere!”

Sappiate che quella vocina è il vostro CRITICO INTERIORE!

Il “Critico interiore”, chiamato anche “Inner critic”, consiste in una serie di pensieri con i quali ci giudichiamo negativamente e continuamente. E’ parte della nostra psiche e seppur potremmo pensare che sia uno strumento utile per evitare problemi in futuro, la verità è che si comporta sempre come un elemento di “auto-sabotaggio” che ci impedisce di andare avanti nella vita.

Come si muove il critico interiore dentro di noi?

Il nostro critico:

  • ama insultarci;
  • memorizza ogni nostro errore ( ha una buona memoria a lungo termine);
  • è infelice della nostra vita;
  • ci confronta con le altre persone;
  • ci sveglia di notte per ricordarci gli sbagli e le brutte figure che abbiamo fatto;
  • ci crea sensi di colpa;
  • non è in grado di individuare errori, ma li sa commentare!

Vi siete rivisti in queste affermazioni?

Dovete sapere che alcuni critici interiori sono ironici, miti e solo di tanto in tanto si fanno sentire. Altri, invece, sono severi, critici e denigratori. In alcune persone il critico interiore è fortemente radicato, in altre meno.

Come riconoscerlo?

Prestando attenzione ai nostri pensieri: quando ci insultiamo da soli, ci diamo dell’ incompetente, sappiate che è il nostro “CRITICO” CHE CI STA PARLANDO!

Il “critico” si fa sentire soprattutto nell’ ambito delle relazioni: questo avviene perché le ferite più profonde, nella maggior parte dei casi, vengono lasciate dall’ interazione con altre persone.

Se ad esempio, per vostra madre siete sempre stati dei figli svogliati e fannulloni perché non l’ avete mai aiutata nelle faccende domestiche,  quando incontrerete una persona che vi piace e che ha successo nel lavoro, il vostro critico interiore potrebbe convincervi del fatto che non lo conquisterete mai, perché “siete sempre stati svogliati e fannulloni”.

Attenzione! Un forte critico interiore può deprimervi e scoraggiarvi in ogni momento, tormentandovi di continuo!

Ma quando nasce il nostro critico interiore?

Il critico interiore nasce negli anni dell’ infanzia. Crescendo i bambini imparano a controllarsi, interiorizzando i messaggi che vengono a loro rivolti dagli adulti di riferimento. Messaggi come: “Che guaio che sei!”, “Smettila, non sei capace!”. Tali commenti si “fissano” nella mente del bambino e danno forma, nel corso degli anni, al critico interiore. Nessuna meraviglia, dunque, che il critico interiore ci insulti quasi con le stesse parole che i nostri genitori utilizzavano quando eravamo piccoli!

A mano mano che cresciamo, al nostro critico interiore non interessa più che sediamo composti a tavola o mangiamo sempre tutto ciò che c’ è nel piatto. NO! Oggi il nostro critico interiore ci critica perché siamo svogliati; siamo troppo ambiziosi; non abbiamo un partner o abbiamo quello sbagliato. Agli occhi del critico, noi siamo imperfetti e lui è pronto a ricordarcelo in ogni  momento!

Come “addomesticare” il critico?

Prendendovi più cura di voi. Nei periodi in cui il critico si fa sentire, avete bisogno di stare al vostro fianco. Proprio come avere al tuo fianco un amico di cui ti fidi e al quale chiedi volentieri un consiglio, perché sai che è capace di farti riflettere senza ferirti. Il vantaggio di stare al nostro fianco è che saremmo meno reattivi alle critiche altrui e impareremmo a non mettere in moto modalità che rovinano le relazioni.

Nei momenti in cui ci sentiamo stanchi e spossati, il “critico” inizia ad attaccare. Ecco perché è importante “coccolare” i nostri momenti più faticosi!

E’ un vostro compito scoprire di cosa avete bisogno, dedicando tempo e cura alle vostre esigenze!

Mi raccomando! Le chiacchiere del vostro critico interiore non sono altro che PENSIERI. Voi non siete obbligati a credere a tutto quello che vi passa per la testa! Prendete le distanze dalle storie che vi raccontate e non lasciatevi coinvolgere! Quando inizierete a non prestare più attenzione alle chiacchiere del vostro “critico”, potreste scoprire che gran parte della vostra crescita personale e professionale matura superando le vostre paure più profonde.

 

Francesca Tripari, Psicologa

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CENTRO EMMEA PRESENTA: “TI ASCOLTO”

“TI ASCOLTO”: sportello psicologico dedicato a tutte le persone che stanno affrontando un momento “delicato” della loro vita.

 

Nell’ arco della vita attraversiamo tutti esperienze difficili che ci mettono a dura prova. L’ insoddisfazione, l’ ansia, la paura, la precarietà e l’ incertezza che stiamo vivendo in questo particolare periodo storico, contribuiscono a rendere la nostra vita sempre più faticosa e, il rischio, è che ci sentiamo sempre più “travolti” dalle nostre difficoltà.

“Non è vero che si è malati perché si soffre né, viceversa, che si soffre solo perché si è malati”.

A volte è semplicemente difficile poter trovare qualcuno a cui chiedere AIUTO, per poter tornare a vivere come vorremmo.

E’ da questa considerazione che nasce l’ esigenza di creare lo sportello psicologico: “TI ASCOLTO”. Un servizio di ASCOLTO, ORIENTAMENTO E SOSTEGNO PSICOLOGICO, destinato alle persone che, in questo particolare momento della loro vita, hanno bisogno di comunicare il loro stato d’ animo, le loro perplessità, le loro paure o far fronte a momenti di solitudine.

A CHI E’ RIVOLTO?

Infanzia; Adolescenza; Età adulta

DOVE?

Presso il Centro Emmea, Via Carlo Pisacane, 6, San Vittore Olona (MI) .

QUANDO?

Su appuntamento.

I colloqui saranno tenuti dalla Dottoressa Tripari Francesca, Psicologa iscritta all’ Ordine degli psicologi delle Lombardia (n. 16263).

 

PER INFO E PRENOTAZIONI CHIAMA IL NUMERO 349 5328087

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FAME NERVOSA: DI CHE COSA SIAMO REALMENTE AFFAMATI?

“Hai mai mangiato perché ti senti triste, annoiato o arrabbiato?”

Il nostro comportamento alimentare può essere influenzato dalle emozioni che quotidianamente proviamo: lo stress, la tristezza, l’ansia, possono aumentare l’appetito e portare a ricercare maggiormente cibi ricchi di grassi e dolci, stimolando la cosiddetta “Fame nervosa“.

La Fame nervosa, detta anche Emotional Eating, è un disturbo dell’ alimentazione incontrollata caratterizzato da frequenti e intense abbuffate. E’ molto simile alla Bulimia, ma, la differenza è che nella Fame nervosa non vengono messi in atto tutti quei comportamenti compensatori (vomito, utilizzo dei lassativi, esercizio fisico), tipici, invece, della Bulimia.

COME RICONOSCERE SE È FAME FISIOLOGICA (DI PANCIA) O FAME NERVOSA (DI GOLA)?

La FAME FISIOLOGICA è:

  • Graduale
  • Fa “brontolare lo stomaco” (il cosiddetto “Buco allo stomaco”)
  • Si ha attesa nel cucinarsi
  • Si indirizza anche verso i cibi sani
  • Fa mangiare con calma
  • La persona riconosce i segnali di fame e di sazietà.

Invece, la FAME NERVOSA è:

  • Improvvisa
  • Provoca un leggero ”solletico alla gola”
  • Si indirizza verso alimenti sostanziosi (grassi o dolci)
  • Fa mangiare in modo automatico e veloce
  • La persona mangia oltre il segnale di sazietà.

PERCHE’ SI SOFFRE DI FAME NERVOSA?

Chi soffre di fame nervosa, spesso, utilizza il cibo per “mettere a tacere le proprie emozioni”. C’ è infatti un grosso bisogno di non sentire bisogni, di non sentire grosse emozioni.  Ecco che il cibo diventa un silenziatore del nostro “sentire”, di ciò che proviamo. La dinamica che si instaura è: “Rabbia/ tristezza: ti mangio!”.

Attenzione, questo non significa che le persone che soffrono di Fame nervosa sono apatiche! Anzi, sono individui che sentono le emozioni in modo molto forte e chiaro: sanno essere tristi, allegri, arrabbiati, però hanno imparato che, nella vita, avere emozioni è molto pericoloso, perché gli altri non sempre saranno disponibili a soddisfarle o, comunque, rischierebbero di rimanere troppo in attesa. L’ attesa, per chi soffre di Fame nervosa, è molto frustrante. “Non si può rimanere passivi ad aspettare che l’ altro soddisfi i propri bisogni, ma bisogna fare/attivarsi= abbuffata.

SMANIA DI CIBO: PRATICA L’ URGE SURFING

Se chi confligge col cibo lo fa per gestire le emozioni negative, capirete bene che, più frequentemente queste persone proveranno emozioni faticose, e più alta sarà la probabilità di farsi un’abbuffata, col tentativo invano di gestire quelle emozioni. Ma non funziona! Questo perché ciò che scatena la nostra reattività di fronte al cibo (abbuffata) è il fatto che ci identifichiamo con le nostre emozioni, e non le percepiamo, invece, come parte dell’esperienza.

Provare un’ emozione non corrisponde ad agirla! 

Alan Marlatt, psicologo con una lunga esperienza in meditazione, ha introdotto una tecnica psicologica chiamata “Urge Surfing” (Cavalcare l’onda). Questa tecnica risulta efficiente in quanto non tenta di controllare l’emozione, ma invita a rispondere alla smania di cibo con un atteggiamento vigile, aperto e curioso, di semplice osservazione. Se lasciamo, infatti, che la smania di cibo segua il proprio corso, possiamo osservare che, come ogni tipo di urgenza, ha un inizio, un picco di intensità e un momento di calo (simile ad un’onda).

Chi ha imparato con successo a “Cavalcare l’onda” della smania di cibo, ha osservato che essa sale e scende, senza causare danni. Ecco che, sentire un’ “urgenza”, può diventare un’ottima  occasione per… SCOPRIRE DI CHE COSA SIAMO REALMENTE AFFAMATI!

Facciamo un esperimento. La prossima volta che avrete un episodio di Fame nervosa, sedetevi e osservatelo in tutta la sua evoluzione, mentre cresce, raggiunge il picco e poi cala. Scrivete, successivamente, quello che avete notato con questo breve ma intenso esercizio.

Scoprirete che, con un po’ di allenamento, è possibile rintracciare un filo conduttore tra i diversi attacchi di fame nervosa.

Francesca Tripari, Psicologa

 

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